martedì 13 giugno 2023

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SERMONE ALLEGORICO
8. «La pianta produsse il suo frutto, il fico e la vite diedero il loro vigore» (Gl 2,22). Di questa pianta dice la Sapienza: «Quando l'acqua sommerse la terra, la Sapienza di nuovo la salvò, guidando il giusto per mezzo di uno spregevole legno» (Sap 10,4). Lo «spregevole legno» è la croce, perché «Maledetto chiunque pende dal legno» (Gal 3,13; cf. Dt 21,23); legno sul quale Cristo, Sapienza del Padre, fu disprezzato e schernito: «Ecco, tu che distruggi il tempio, e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!» (Mt 27,40); e «Se è il re d'Israele, scenda adesso dalla croce» (Mt 27,42). Su questo legno e per mezzo di questo legno Cristo ha salvato il mondo, che in antico l'acqua del diluvio aveva cancellato e distrutto.
    Si legge nella Storia dei Greci1 che quando Adamo si ammalò, mando il figlio Set a cercargli una certa medicina. Set, arrivato nelle vicinanze del paradiso terrestre, fece presente all'angelo che lo guardava attraverso la porta, la malattia del padre. L'angelo staccò un ramo dall'albero del quale Adamo, contro il comando di Dio, aveva mangiato il frutto, e lo diede a Set dicendogli: «Quando questo ramo farà frutto, tuo padre guarirà». Sembra che il prefazio della messa di oggi si richiami proprio a questo, quando dice: «Donde sorgeva la morte, di là risorgesse la vita». Però Set, quando fu di ritorno, trovò Adamo, suo padre, già morto e sepolto: allora piantò il ramo vicino alla sua testa, e il ramo crebbe e diventò un albero maestoso.
    Si racconta che dopo molto tempo, la regina Saba vide quell'albero «nella casa del bosco» (cf. 3Re 7,2), cioè nella reggia di Salomone. Essa durante il ritorno alle sue terre scrisse a Salomone - ciò che non aveva avuto il coraggio di dirgli in persona - di aver visto nella casa del bosco un grande albero, al quale doveva essere impiccato un tale, per la cui morte i giudei sarebbero andati in rovina loro e mandato in rovina anche le loro terre e il loro popolo. Salomone, impressionato e pieno di paura, tagliò quell'albero e lo seppellì nelle viscere, nel profondo della terra, proprio nel luogo dove poi fu scavata la piscina detta Probatica (cf. Gv 5,2). Avvicinandosi il tempo della venuta di Cristo, il tronco, quasi preannunciandone la presenza, affiorò sull'acqua, e da quel momento l'acqua della piscina incominciò ad agitarsi alla discesa dell'angelo (cf. Gv 5,2-4).
    Nel giorno della Parasceve [venerdì santo] i giudei cercavano un tronco sul quale inchiodare il Salvatore: e finalmente lo trovarono nella piscina, lo trasportarono fino al Calvario e su di esso inchiodarono Cristo. Così quel «legno portò il suo frutto», in virtù del quale Adamo ricuperò salute e salvezza. Questo tronco, dopo la morte di Cristo, fu di nuovo sepolto nelle viscere della terra. Dopo lungo tempo, fu ritrovato dalla beata Elena, madre di Costantino: per questo la festa di oggi si chiama «Invenzione (ritrovamento) della santa Croce». Ecco dunque che «l'albero ha dato finalmente il suo frutto» Dice la Sposa del Cantico dei Cantici: «Mi siedo all'ombra di colui che tanto desideravo, e il suo frutto è dolce al mio palato» (Ct 2,3). E Geremia: «Il respiro della nostra bocca, l'unto del Signore, è stato preso per i nostri peccati; a lui abbiamo detto: Alla tua ombra vivremo fra le nazioni» (Lam 4,20). L'ardore del sole, cioè la suggestione del diavolo o la tentazione della carne, che affliggono l'uomo, devono rifugiarsi subito all'ombra del prezioso albero e lì sedere, lì umiliarsi, perché solo lì c'è refrigerio e speciale rimedio contro la tentazione. Il diavolo, che per causa della croce ha perduto il suo potere sul genere umano, ha il terrore di avvicinarsi alla croce.
    Dice il Profeta: «Ho aperto la mia bocca e trassi a me lo spirito» (Sal 118,131) [il fiato]. Chi apre la bocca nella confessione, riceve lo spirito della grazia, che è la vita dell'anima. «Cristo, Signore nostro è lo spirito», il respiro della nostra bocca, perché «in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28), in lui crediamo con il cuore e lui confessiamo con la nostra bocca; egli è stato preso, legato e crocifisso per i nostri peccati.
    Ecco lo spirito e il frutto dolce al nostro palato. E se è così dolce nella confessione del suo nome e nel gaudio della contemplazione, come sarà nel godimento della sua maestà? E se è così dolce in questa misera vita, come credi sarà nella gloria? E se in mezzo alle nazioni, cioè tra le varie tentazioni, viviamo all'ombra della sua passione, in quale gloria vivremo nella luce della sua verità?
9. «Il fico e la vite produssero il loro vigore». Ecco quali vantaggi ci sono venuti dal legno della croce: il fico, cioè la dolcezza della risurrezione del Signore, e il vino della grazia, dei sette doni dello Spirito. Ecco le grandi ricchezze e le grandi delizie! Da quel legno venne il fico, da quel legno il vino nuovo, riposto negli otri nuovi (cf. Lc 5,38). E noi ci troviamo al centro di queste grandi ricchezze, perché questa festa della Croce è situata tra la Pasqua e la Pentecoste .
    Noi, che siamo stati redenti per mezzo del legno della croce, stendiamo le mani ad ambedue questi frutti e saziamocene, perché essi ci infondono il loro vigore. Quasi nessun frutto è più dolce del fico; e cosa c'è di più soave della luminosità, agilità, trasparenza e immortalità, del corpo glorificato? Questa dolcezza dà all'uomo il vigore contro la falsa dolcezza del mondo e della carne. E il vino dello Spirito Santo, che allieta il cuore dell'uomo (cf. Sal 103,15), infonde vigore affinché l'uomo gioisca nelle tribolazioni e in esse non venga meno.
    Si degni di infonderci questo vigore colui che è benedetto nei secoli. Amen.
  

La piaga del costato [di Cristo] è la città del sole. Con l’apertura del costato del Signore venne aperta la porta del paradiso, dalla quale rifulse a noi lo splendore della luce eterna. Si legge nella Storia Naturale che il sangue estratto dal fianco della colomba elimina le macchie dagli occhi; così il sangue estratto dal costato di Cristo con la lancia del soldato, illuminò gli occhi del cieco nato, cioè del genere umano. (Dom I di Avvento, 9)

«Ecco il costato, dal quale voi fedeli, mia chiesa, siete stati generati, come Eva fu procreata dal fianco di Adamo; ecco come è stato aperto dalla lancia per aprirvi la porta del paradiso, sbarrata dalla spada fiammeggiante del cherubino». La virtù del sangue sgorgato dal costato di Cristo, ha allontanato l’angelo e ha reso innocua la sua spada, e l’acqua ha spento il fuoco. (Dom. dell’Ottava di Pasqua, 8)

Gesù stesso, nel vangelo di Giovanni, dice: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Se uno entra attraverso di me, vale a dire attraverso il mio costato aperto dalla lancia, se entra con la fede, con la passione e la compassione, sarà salvo, come la colomba che si rifugia nella fenditura della roccia (cf. Ct 2,14) per sfuggire all’avvoltoio che le dà la caccia; e così entrerà per controllare, per discutere ed esaminare se stesso, e poi uscirà per considerare, calpestare, disprezzare e fuggire la vanità del mondo. (Dom. XV dopo Pentecoste, 11)

«Ester», che s'interpreta «nascosta», è l'anima che si deve nascondere dalla vista del diavolo nel fianco aperto di Cristo stesso, quando la vede davanti a sé in piedi, e
non esitante in mezzo alle tribolazioni, non piegata dai desideri terreni, non seduta nell'ozio del corpo, non adagiata sul letto dei piaceri, essa piace ai suoi occhi. O Gesù beato, beato chi piace ai tuoi occhi, infelice chi piace ai propri. Vuoi piacere a Dio? Dispiaci prima a te stesso. (Dom XVI dopo Pentecoste, 8)

«Sii tu il Dio che mi protegge»: mi proteggi e mi difendi con le braccia aperte sulla croce, come la chioccia i suoi pulcini sotto le sue ali; «il luogo di riparo»: nel tuo fianco, trafitto dalla lancia, possa io trovare il luogo di riparo, dove nascondermi di fronte al nemico; «perché tu sei il mio sostegno», affinché non cada, «e il mio rifugio», anzi «retrofugio», perché se cadrò, non ad altri ma solo a te io mi rivolga; «e per il tuo nome» che è «Figlio di David», sarai guida a me che sono cieco, perché mi porgerai la mano della tua misericordia, e mi nutrirai con il latte della tua grazia. «Figlio di David, abbi dunque pietà di me». (Dom. di Quinquagesima, 8)
 

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